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Cassazione 46674/2007: Sostituzione di persona

attraverso una e-mail

 

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La quinta sezione della Cassazione conferma la condanna, ex articolo 494 del Codice Penale, nei confronti di chi

utilizzava le generalità di un’altra persona per accedere a servizi e comunicare con altri utenti.

 

La norma in questione recita:

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore,

sostituendo illegittimamente la propria persona all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede

pubblica, con la reclusione fino a un anno“.

 

L’oggetto giuridico è costituito da tutti quei comportamenti in grado di offendere la pubblica fede ad esempio

 alterando i dati identificativi di un soggetto o le proprie qualità con quelli corrispondenti ad un altro

(nome o titoli di studio). I termini vantaggio e danno vanno intesi in modo ampio tanto da ricomprendere una

utilità morale, economica od anche sessuale.

L’elemento oggettivo del reato è costituito dalla induzione in errore che però deve fondarsi su una condotta

attiva e non omissiva. Per questo motivo la giurisprudenza non considera rilevante una situazione dipesa dal

fatto di altri. Non è necessario nemmeno che sia raggiunto il vantaggio od il danno poiché il reato si consuma

appena indotto l’errore.

 

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Segue il testo completo della sentenza:

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Cassazione V Sezione Penale n. 46674 del 14 dicembre 2007

 

                                                                                       SVOLGIMENTO

 

Con l’impugnata sentenza è stata confermata la dichiarazione di colpevolezza di A.M.A. in ordine al reato p. e p.

dagli artt. 81, 494 c.p., contestatogli “perché, al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno ad A.T.,

creava un account di posta elettronica, ********@libero.it., apparentemente intestato a costei, e successivamente,

utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete internet al nome della A.T., e così induceva in errore sia il

gestore del sito sia gli utenti, attribuendosi il falso nome della A.T.”.

Ricorre per cassazione il difensore deducendo violazione di legge per l’erronea applicazione dell’art. 494 c.p. e

per la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p.

Lamenta che non siano state confutate dalla corte fiorentina le critiche rivolte al convincimento di colpevolezza

 espresso dal primo giudice siccome basato sulla duplice errata considerazione, inerente la prima alla tutela di

stampo civilistico al nome e allo pseudonimo, l’altra, più propriamente tecnico-informatica, alla sostenuta necessità

 di fornire all’ente gestore del servizio telefonico l’esatta indicazione anagrafica al momento della richiesta di

 fornitura della prestazione telematica.

Tali doglianze non possono essere condivise.

Oggetto della tutela penale, in relazione al delitto preveduto nell’art. 494 c.p.,è l’interesse riguardante la pubblica

fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità

o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato

destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede

privata e alla tutela civilistica del diritto al nome.

In questa prospettiva, è evidente la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della contestata

fattispecie delittuosa.

Il ricorrente disserta in ordine alla possibilità per chiunque di attivare un “account” di posta elettronica recante un

 nominativo diverso dal proprio, anche di fantasia. Ciò è vero, pacificamente. Ma deve ritenersi che il punto del

processo che ne occupa sia tutt’altro.

Infatti il ricorso non considera adeguatamente che, consumandosi il reato “de quo” con la produzione dell’evento

conseguente all’uso dei mezzi indicati nella disposizione incriminatrice, vale a dire con l’induzione di taluno in errore,

 nel caso in esame il soggetto indotto in errore non è tanto l’ente fornitore del servizio di posta elettronica, quanto

piuttosto gli utenti della rete, i quali, ritenendo di interloquire con una determinata persona (la A.T.), in realtà

inconsapevolmente si sono trovati ad avere a che fare con una persona diversa.

E non vale obiettare che “il contatto non avviene sull’intuitus personae, ma con riferimento alle prospettate attitudini

 dell’inserzionista”, dal momento che non è affatto indifferente, per l’interlocutore, che “il rapporto descritto nel

messaggio” sia offerto da un soggetto diverso da quello che appare offrirlo, per di più di sesso diverso.

È appena il caso di aggiungere, per rispondere ad altra, peraltro fugace, contestazione difensiva, che l’imputazione

 ex art. 494 c.p.p. debitamente menziona pure il fine di recare - con la sostituzione di persona - un danno al soggetto leso: danno poi in effetti, in tutta evidenza concretizzato, nella specie, come il capo B) della rubrica (relativo al reato di diffamazione, peraltro poi

estinto per remissione della querela) nitidamente delinea nella subdola inclusione della persona offesa in una

 corrispondenza idonea a ledere l’immagine o la dignità (sottolinea la sentenza impugnata che la A.T., a seguito

 dell’iniziativa assunta dall’imputato, “si ricevette telefonate da uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale”).

Il ricorso va pertanto respinto, con le conseguenze di legge.

 

                                                                                             P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

 

 

 

 a cura:  "Avv. Hermans Joseph IEZZONI"  http://dallatuaparte.com