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     Criminologia Clinica

Sito progettato e curato dal Criminologo Dott. Massimo Dontillo  

 

In Italia verrà creato il database del DNA

 

 

ll nuovo Consiglio dei Ministri, compreso nel Pacchetto Sicurezza, ha approvato la creazione della banca dati del DNA, uno nuovo strumento per la lotta al crimine. In questo modo l'Italia si adeguerebbe al trattato internazionale di Prum. Attualmente le Forze dell'ordine attuano già la raccolta del DNA ma non esistono normative specifiche, né un coordinamento nazionale il che non permette ai centri che conservano i dati di essere affidabili. La nuova legge dovrebbe stabilire il prelievo di campioni biologici ai detenuti e ai nuovi arrestati. Inizialmente saranno circa 60.000 i prelievi che verranno effettuati, in seguito la stima prevede 20.000 prelievi circa all'anno.I campioni dovranno essere conservati dal Dipartimento delle carceri mentre i dati saranno raccolti e gestiti dal ministero dell'Interno.I costi relativi alla messa in opera sono piuttosto ingenti: 12 milioni di euro per l'avvio del progetto e 6-7 milioni di euro l'anno per il suo mantenimento. Ogni analisi del DNA avrà un costo per lo Stato di 130 euro ed è inoltre previsto l'assunzione di 400 biologi.
Tuttavia il problema maggiore rimane quello legato alla questione privacy.

Ed è proprio l'ex Garante per la privacy Stefano Rodotà, da sempre molto attento alla questione, a commentare la decisione in un'intervista rilasciata a Liberazione: “Dobbiamo vigilare contro la possibilità di una schedatura genetica di massa. Io non intendo demonizzare il database del DNA in quanto tale, né come strumento di lotta alla criminalità. Vorrei però che si capisse la portata di questo strumento onde evitare situazioni di privazione dei diritti dei cittadini”. Secondo Rodotà è fondamentale creare delle normative e delle procedure ad hoc, affinché questo strumento potenzialmente utile non diventi pericoloso per i cittadini. “Non c'è dubbio che il prelievo coatto del mio DNA rappresenti una restrizione oggettiva della mia libertà personale” spiega riferendosi alla Costituzione. I dati contenuti nella banca devono essere soggetti a severissimi controlli anche perchè dal DNA si può risalire ad un'enorme quantità di informazioni su una persona, ed è possibile risalire anche alle informazioni su tutta la famiglia del soggetto. Rodotà mette anche in evidenza il problema della gestione dei dati, quando, al termine di un procedimento penale, la persona oggetto del prelievo di DNA coatto risulti innocente. In questo caso – sottolinea con forza – “i dati devono essere assolutamente distrutti”.

Fonte Molecularlab.it

Un topo geneticamente modificato contro il crimine

 

Una combinazione di fortuna e di curiosità scientifica ha prodotto un topo privo di due isoenzimi, MAO A e MAO B, che sono stati associati a un comportamento criminale violento e al morbo di Parkinson. Il topo dovrebbe rivelarsi un modello eccellente per lo studio dei ruoli specifici di questi neurotrasmettitori e dei loro recettori nei disturbi collegati all'ansia e allo stress. La ricerca è stata pubblicata sul numero del 17 settembre della rivista "Journal of Biological Chemistry".
Gli isoenzimi monoamino-ossidasi MAO A e MAO B sono coinvolti nella disgregazione dei neurotrasmettitori. Una quantità superiore o inferiore al normale di questi isoenzimi è all'origine di livelli irregolari di neurotrasmettitori, causando un comportamento anormale. Avendo compreso la connessione fra i livelli di neurotrasmettitori e il comportamento, gli psichiatri usano spesso inibitori di MAO A in qualità di antidepressivi e inibitori di MAO B nella cura del morbo di Parkinson.
Generando un topo privo sia di MAO A che di MAO B, Jean C. Shih dell'University of South California e colleghi saranno in grado di mostrare come le funzioni di isoenzimi nell'organismo. Il successo dell'esperimento, tuttavia, è stato casuale: uno dei topi privato geneticamente di MAO B ha infatti sviluppato una mutazione spontanea in una singola coppia di basi nel gene di MAO A.
Fonte: Le Scienze

Il crimine digitale paga! Anche troppo!

Commettere crimini online è molto meno rischioso e molto più redditizio che nel mondo reale. Questa inquietante affermazione è il frutto di uno studio recentemente condotto da un team di esperti in sicurezza informatica, che ha stimato in oltre 29 miliardi di dollari l'anno il giro d'affari legato a cybertruffe e reati informatici di varia natura.
Tale cifra, che convertita in vecchie lire supera l'astronomico valore di 50 mila miliardi (50.000.000.000.000), sarebbe di gran lunga superiore all'intero business del narcotraffico mondiale.

David DeWalt, amministratore delegato di una delle più importanti aziende specializzate in sicurezza digitale, afferma che la lotta a questo tipo di crimine è ancora molto lontana dall'essere vinta: non solo mancano gli strumenti tecnologici, ma manca soprattutto la consapevolezza dei rischi legati al mondo online da parte di privati e aziende
Gli esperti sono però tutti concordi su un punto: se fino a oggi la battaglia è stata combattuta sul fronte dell'accesso, cioè sull'impedire ai malintenzionati di entrare nelle reti aziendali, occorre oggi cambiare strategia e concentrarsi sulla sicurezza dei dati, per esempio impedendo l'accesso ad alcune informazioni su terminali esterni al sistema aziendale.
Un contributo determinante alla lotta contro la criminalità informatica deve comunque arrivare dalle istituzioni e dai governi, ancora poco sensibili a questo costosissimo problema.

 

 Fonte Focus.it  -Alessandro Bolla

Il virus della violenza

In seguito a una "epidemia" di crimini avvenuta negli anni Novanta negli Stati Uniti, un team di sociologi ha studiato per cinque anni 1500 adolescenti nella loro realtà e ha scoperto che la violenza è contagiosa.

 

"Un cartello con diversi fori di arma da fuoco che dice: "attenzione ai bambini che giocano".

 

La violenza secondo alcuni scienziati statunitensi non sarebbe simile a una “malattia” congenita o ereditaria, ma a una malattia infettiva e quindi contagiosa. Per questo il solo fatto di essere esposti al “virus” potrebbe portare a contrarre un comportamento violento. Secondo uno studio condotto da Felton Earls, della Harvard Medical School - e riportato da Science - assistere o rimanere coinvolto passivamente in episodi di violenza per un adolescente raddoppia le possibilità che diventi, a sua volta, una persona violenta. Earls per cinque anni ha studiato il comportamento di 1500 ragazzi di un sobborgo di Chicago, tra i 12 e i 15 anni, soffermandosi non tanto sulle loro relazioni in casa ma piuttosto fuori, nella comunità entro la quale vivono.

Ragazzi fuori. Il loro comportamento è stato studiato in base a 153 variabili diverse come la salute fisica, la difficoltà di trovare un lavoro, la struttura familiare e la tipologia di vicinato. I ragazzi sono poi stati divisi in due gruppi, quelli che avevano già assistito ad episodi di violenza con armi da fuoco e quelli che non ne erano mai stati testimoni né vittime. I risultati della ricerca sono stati che coloro che erano stati testimoni di un episodio di violenza avevano da due a tre volte più probabilità di sviluppare un comportamento violento nei due anni successivi all'episodio. «Da questo studio si capisce l'importanza del rapporto personale che ciascuno di noi ha con la violenza - afferma Earls - e il paragone migliore per definire la violenza potrebbe essere quello con una infezione sociale simile a una malattia». 

Pericolo incubazione. Benché la relazione tra l'esposizione alla violenza e il comportamento violento sia stato evidenziato da molti studi anche in precedenza, è sempre molto difficile dimostrarne il collegamento diretto e capire il motivo che innesca il meccanismo. «Quando gli individui hanno subito un certo tipo di esperienza - afferma Daniel Webster del Centro di ricerche sulle armi da fuoco di Baltimora - come assistere a un episodio di violenza oppure esserne vittime, diventano molto vigili e attenti».
Per questo sempre secondo Webster le persone esposte sono più a rischio: si sentono minacciate e assumono facilmente atteggiamenti ostili, con un meccanismo di autodifesa che li guida spesso alla violenza.

Fonte Focus.it 

Bugie alla moviola

Come capire se qualcuno mente? Secondo uno psicologo americano è facilissimo: basta chiedergli di raccontare la sua storia dalla fine all'inizio.

Fare le domande giuste non è sufficiente: farle a caso (ma in modo scientifico) mette in crisi anche la bugia migliore.

Se vuoi che un bugiardo ti confessi la verità, fagli raccontare la sua versione dei fatti... a ritroso, partendo cioè dalla fine. In questo modo non potrà che tradirsi: parola dello psicologo Albert Vrij, docente all'Università di Portsmouth e uno dei massimi esperti al mondo di "psicologia della testimonianza". La sua teoria è che chi le spara grosse investe parecchie energie per mostrarsi coerente, e per evitare contraddizioni si aggrappa alla narrazione cronologica. Se questa viene ostacolata o impedita, il castello di bugie non regge.

 

 

Una volta andavano per le spicce, con gli interrogatori...

 

Lo stress come alleato
La spiegazione è semplice. Tutti conosciamo persone particolarmente brave nell'arte dell'inganno, eppure nascondere la verità non è per niente facile. Piccole o grandi che siano, le bugie richiedono sempre uno "sforzo cognitivo", e chiedere a sorpresa un racconto dei fatti che non segua l'ordine prestabilito può produrre parecchio stress. Risultato: aumentano le incongruenze e i nodi vengono al pettine.


I numeri della verità
Per dimostrare la validità della sua teoria, Vrij ha chiesto a 290 poliziotti di esaminare gli interrogatori in video di 255 studenti, ad alcuni dei quali era stato chiesto di mentire su fatti più o meno importanti. Nella prima fase dell'indagine, condotta in assenza di audio, gli agenti si sono affidati solo alla loro capacità di interpretare il linguaggio del corpo e ai criteri di valutazione comportamentale che usano nella loro professione, come la scarsa collaborazione e il nervosismo. Poi gli investigatori hanno rivisto gli interrogatori completi di audio e, successivamente, anche una ulteriore versione condotta con il metodo dell'intervista al contrario. Sentire la voce dei sospetti ha fatto sì che gli investigatori riconoscessero le bugie nel 42% dei casi (un buon terzo in più rispetto alla percentuale di colpevoli riconosciuti grazie alla sola osservazione comportamentale). Ma i risultati migliori sono arrivati grazie alla nuova tecnica di interrogatorio: i bugiardi sono stati smascherati nel 60% dei casi.

Fonte Focus.it 

Uomini e donne reagiscono al pericolo in modo diverso

 

In caso di panico, chiedete aiuto a un uomo. Reagirà prontamente, con calma e sangue freddo. Almeno, dovrebbe. Lei si lascia sopraffare dalle emozioni, lui si prepara ad affrontare la situazione (o a darsela a gambe). Lo dimostrano i diversi esiti della risonanza magnetica funzionale. E voi cosa ne pensate? Siete d’accordo?

Lasciate perdere le eroine ultrarisolute alla Lara Croft: in caso di pericolo sono gli uomini i primi ad avere il "polso" della situazione. Almeno secondo quanto emerge da una ricerca recentemente presentata al convegno annuale della Radiological Society of North America. Per capire come i due sessi reagiscono alle situazioni d’emergenza, un’equipe dello Jagiellonian University Hospital di Cracovia, in Polonia, ha sottoposto a risonanza magnetica funzionale 40 soggetti adulti, 21 uomini e 19 donne. Ai volontari sono state mostrate due batterie di immagini riguardanti oggetti e situazioni quotidiane: la prima riferita a circostanze negative, la seconda a momenti positivi.

Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere. Nel guardare le figure negative, le donne hanno mostrato una più significativa attivazione della parte sinistra del talamo, un’area che scambia informazioni sensoriali con i centri del dolore e del piacere della corteccia cerebrale. Negli uomini invece, ad attivarsi maggiormente è stata la regione sinistra dell’insula, che gioca un ruolo chiave nel controllo di attività biologiche involontarie come respirazione e battito cardiaco. In pratica, tutto ciò che occorre per preparare il corpo a confrontarsi con un pericolo, o a darsela a gambe. «Questo potrebbe voler indicare che quando si trovano a dover fronteggiare situazioni pericolose, gli uomini sono più propensi all’azione» ha detto Andrzej Urbanik, a capo dello studio «mentre le donne dedicano maggiore attenzione all'identificazione dei sentimenti suscitati dallo stimolo».

Che bei ricordi! Le signore si sono mostrate più emotive anche nella parte più "piacevole" dell’esperimento, quando sono state sottoposte cioè, a immagini che evocano situazioni positive. In questo caso, le volontarie hanno mostrato rispetto ai loro "colleghi", una maggiore attività nel giro temporale superiore destro, un’area cerebrale associata alla memoria. Come se, ipotizzano i ricercatori, le donne associassero gli stimoli positivi a un contesto sociale allargato o a un particolare ricordo. Mentre gli uomini si concentrano maggiormente sulla natura dello stimolo visivo in sé. 

Fonte Focus.it 

Elisabetta Intini, 1 dicembre 2009

 

 

L'onestà è come il cioccolato

 

 

Quando ci trattano con lealtà il nostro cervello reagisce come se avessimo fatto sei al superenalotto. Merito di un particolare circuito cerebrale, lo stesso che si attiva quando facciamo una scorpacciata di cioccolato. (Elisabetta Intini, 12 maggio 2008)

Ricevere una proposta equa scatena nel nostro cervello la stessa reazione che si genera quando mangiamo il nostro cibo preferito, vinciamo dei soldi o vediamo un bel viso: è quanto si afferma in una ricerca della University of California. Ad attivarsi sono alcune regioni cerebrali che entrano in gioco quando proviamo sensazioni piacevoli: per questo motivo gli esperti le hanno raggruppate nel cosiddetto "circuito della ricompensa".

Ti propongo uno scambio. I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di studenti di entrambi i sessi di accettare o rifiutare delle offerte di spartizione di denaro. Alcune proposte erano oneste, come, per esempio, ricevere 5 dollari come risultato della spartizione di 10 o 12 dollari; altre un po' meno, come l'offerta di 5 dollari estratti da un gruzzolo iniziale di 23 dollari. Solo quando i volontari hanno accettato le offerte più eque la risonanza magnetica funzionale ha evidenziato l'attivazione del circuito della ricompensa nel loro cervello. In risposta alle proposte più disoneste, invece, si è attivata un'altra regione cerebrale, chiamata insula, normalmente associata al disgusto. Ma una volta accettata un'offerta sleale, "mandiamo giù il rospo", mettiamo cioè da parte la repulsione iniziale pur di ricevere un piccolo beneficio. Allora si attiva una terza area del cervello, questa volta associata all'autocontrollo.

Fonte Focus.it 

 

 

La vera faccia dei cattivi

 

 

 

Secondo uno studio canadese la proporzione tra larghezza e altezza del viso indicherebbe il livello di aggressività.

(Alessandro Bolla, 20 agosto 2008)

 

Dimmi che faccia hai e ti dirò quanto sei aggressivo: è questa la sintesi di un curioso studio condotto da Cheryl McCormick and Justin Carre della Brock Univeristy (Ontario, Canada) su un gruppo di giocatori di hockey.

Le ricercatrici hanno messo in relazione le proporzioni del viso degli atleti con il numero di minuti di punizione accumulati per gioco pericoloso e hanno scoperto che all’aumentare del rapporto tra larghezza e altezza del volto aumentava il loro coefficiente di aggressività.

Di solito il volto maschile è proporzionalmente più largo di quello delle donne. Questa caratteristica fisica è attribuibile agli elevati livelli di testosterone, ormone che tra le altre cose è legato ai comportamenti aggressivi. Altri studi sulla forma del volto condotti in passato avevano suggerito che una donna è in grado di capire se un uomo vuole figli solo guardandone la fotografia. Per dissimulare le proprie intenzioni occorrerà rivolgersi al chirurgo plastico?

 

Fonte Focus.it 

Vendetta… tremenda vendetta!

 
La vendetta veste abiti da uomo: sono infatti i maschi a essere più vendicativi verso persone 'colpevoli' di aver tradito la loro fiducia e sono sempre gli uomini a provare maggiore soddisfazione dalla vendetta.

 

Anche le donne però non scherzano: la moglie del dj Tim Shaw ha venduto l'auto del marito (foto) su e-Bay per mezza sterlina e in meno di 30 minuti. Voleva vendicarsi perché lui era fuori con un'altra.

La vendetta, si sa, è un piatto che va gustato freddo. E se siete uomini lo apprezzerete molto di più. E' quanto emerge da uno studio condotto presso la University College di Londra, secondo il quale gli uomini traggono dalla azioni di rivalsa un piacere molto più intenso rispetto a quello provato dalle donne, soprattutto se le punizioni inflitte sono di tipo fisico.

Giochi & tradimenti

Tania Singer e il suo staff hanno monitorato mediante risonanza magnetica funzionale per immagini l'attività cerebrale di 32 volontari subito dopo averli fatti partecipare o a un gioco noto come dilemma del prigioniero. Si tratta di un gioco di società durante il quale si può o collaborare con gli altri e dividere una ricompensa, oppure tradirli per ottenere un premio più alto. Questo meccanismo porta alla formazione di amicizie e inimicizie tra i membri del gruppo.
Una ricerca elettrizzante. Dopo il gioco i partecipanti sono stati sottoposti all'esame del cervello mentre venivano mostrate loro le immagini dei compagni “torturati” con leggere scosse elettriche.
In tutti i volontari è stato riscontrato un aumento dell'attività cerebrale nelle zone della corteccia connesse con la sensazione del dolore. L'attività diminuiva però sensibilmente se la punizione veniva inferta a qualcuno considerato nemico. Nei maschi inoltre, la visione di immagini di traditori puniti oltre a generare picchi di attività più alti che nelle donne, ha evidenziato l'attivazione delle zone corticali legate ai meccanismi della ricompensa.
Ma solo per soldi. Secondo i ricercatori questa differenza tra uomini e donne può significare sia che i primi sono molto più coinvolti nelle questioni economiche legate ai risultati del gioco, ma anche che le seconde sono molto meno interessate a vendicarsi punendo fisicamente chi le ha tradite. A molti studiosi sembra infatti eccessivo parlare di un senso di giustizia biologicamente innato e radicato negli individui maschi.
Altri studi comportamentali condotti presso l'Università di New York hanno infatti dimostrato che le donne impiegano più tempo degli uomini a esercitare azioni di rivalsa. I signori che hanno sulla coscienza qualche scappatella sono avvisati: la vendetta della vostra dolce metà potrebbe arrivare anche tra qualche mese….

Fonte Focus.it 

Assassini nati? No, se ci pensa la mamma

Sono i geni o le condizioni ambientali a favorire il comportamento aggressivo e antisociale di alcuni individui? La questione è aperta, ma nuovi studi dimostrano che non c'è niente di meglio delle cure materne.

Aggressivi si nasce, ma forse si può cambiare... grazie alla mamma

 

Delinquenti si nasce o si diventa... È sempre la stessa storia: ogni volta che si parla di un serial killer o di qualche ultrà un po' troppo aggressivo, c'è chi dice che è colpa dell'ambiente e chi sostiene che violenti si nasce. Alcuni studi negli ultimi anni hanno dimostrato che la predisposizione all'aggressività è data dai geni responsabili della produzione di serotonina (neurotrasmettitore del sonno e del dolore) e di un particolare enzima, la monoamina ossidasi. Quando, negli animali e negli uomini, i livelli di queste due sostanze nell'organismo sono bassi, si riscontra un comportamento aggressivo.

 Cuore di mamma

Ma allora, se l'aggressività è genetica, quanto incidono le cure familiari? Molto, secondo gli studi di Stephen Suomi dell'Istituto Nazionale di Salute del bambino degli Stati Uniti. Il team di Suomi ha condotto un esperimento su un tipo di scimmia, il macaco (Macaca mulatta), geneticamente simile all'uomo. Alcuni esemplari appena nati e geneticamente predisposti all'aggressività sono stati divisi in due gruppi e inseriti in ambienti diversi: alcuni abbandonati a se stessi, gli altri affidati alle cure della madre. Sorprendentemente le scimmie in famiglia, nonostante i geni, dopo sei mesi avevano aumentato il livello di serotonina e perso ogni traccia di aggressività, mentre per i "senza famiglia" il livello era al minimo.

 Geni o ambiente

 “Tuttavia” afferma Suomi “bisogna essere molto cauti nel fare paragoni tra specie diverse. Noi abbiamo dimostrato che esiste un importante rapporto tra geni e ambiente, ma c'è molto di più”. Se è vero che le cure possono influire sui geni, è vero anche che il carattere, secondo gli esperti, può influenzare l'ambiente stesso. Un bambino pacifico creerà attorno a sé un ambiente meno ostile di quello di uno “geneticamente” difficile che piange sempre.

Fonte Focus.it 

Sguardi di carta… contro i furbetti

L’immagine di un occhio che ti guarda è sufficiente per rendere onesti ed evitare che si commettano piccoli furterelli, come non mettere le monetine nella cassetta del caffè in ufficio.

"Secondo una ricerca inglese l’immagine di due occhi è sufficiente per scoraggiare i comportamenti disonesti delle persone.

In effetti chi oserebbe comportarsi male sentendosi addosso lo sguardo minaccioso di Clint Eastwood"?

Mentre i governi di tutto il mondo mettono a punto piani d’intervento sempre più complessi per combattere l’evasione fiscale e la disonestà in genere, dall’Inghilterra arrivano segnali confortanti: per rendere tutti un po’ più corretti, sembra infatti che possa essere sufficiente uno sguardo, o addirittura la sola immagine di un paio di occhi che osservano attenti i comportamenti delle persone.

Anche i prof rubacchiano…. Questo rincuorante risultato è frutto di un singolare studio condotto recentemente da un team di ricercatori dell’Università di Newscastle presso la sala caffè dell’Ateneo, dove, non essendoci un vero e proprio bar, le consumazioni vengono pagate tramite un honesty box: una semplice scatola di cartone dove ciascuno deposita il denaro necessario a pagare ciò che ha prelevato dalla dispensa comune.
Melissa Bateson e suoi colleghi hanno cambiato ogni settimana la lista delle consumazioni appesa al muro del locale, senza modificarne i prezzi, ma aggiungendo all’inizio del foglio l’immagine di un paio di occhi oppure di un mazzo di fiori.

 

Occhio allo sguardo!

Nei periodi in cui il listino era accompagnato dalle foto degli occhi, l’incasso dell’honesty box è aumentato di circa 2,76 volte rispetto ai periodi in cui era presente la foto dei fiori
Secondo i ricercatori gli occhi sono un potente segnale per ogni essere umano: la sola presenza di un robot che osserva i comportamenti è ad esempio sufficiente per rendere le persone più collaborative.
Esperimenti condotti in passato avevano dimostrato che alcuni atteggiamenti socialmente rilevanti come la generosità, potrebbero essere innati, e scarsamente influenzabili da fattori esterni come il fatto di essere osservati e quindi sottoposti a un possibile giudizio. I ricercatori britannici sospettano però che tali studi possano essere stati inficiati dal fatto che le persone sapessero di essere controllate.

L’apparenza inganna

Il bisogno di farsi vedere, anche solo da un paio di occhi di carta, come persone oneste, sembra quindi poter combattere la tendenza alla piccola disonestà nella quale prima o poi tutti rischiano di incappare.
La Bateson e suoi colleghi vogliono ora ripetere lo studio su un campione più ampio di soggetti, anche per scoprire quale tipo di sguardo stimola maggiormente la correttezza della gente.

Fonte Focus.it 

 

 

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