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"Lombroso illuminato"

 

. Delinquenti si nasce o si  diventa ?

      

 Demo di due minuti della conferenza spettacolo di e con Duccio Canestrini sulla storia dell'antropologia criminale.
 

 

 

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Sito progettato e curato dal Criminologo Dott. Massimo Dontillo  

La Criminologia Clinica o Applicata

 

La funzione primaria della Criminologia clinica o applicata è quella di integrare ed interfacciare le Scienze criminali con le Scienze dell’uomo. La sua utilizzazione pratica è quindi soprattutto nell’ambito della giustizia penale dove fornisce informazioni sulle dinamiche psicologiche e sociologiche che sono alla base del comportamento criminale orientando così l’opera di applicazione della norma da parte del giudice. Il termine “clinica” è mutuato dalla Scienza medica e si riferisce all’insieme degli interventi del criminologo che tendono a riconoscere “curare” e prevenire i comportamenti illegali nel singolo individuo. L’applicazione della Criminologia clinica si estrinseca quindi nelle seguenti situazioni:

nella fase processuale: durante la quale fornisce informazioni sulla personalità dell’imputato così che il giudice possa disporre di tali elementi conoscitivi (componenti soggettive del singolo caso) per la migliore individualizzazione della sanzione;

al momento dell’esecuzione: attraverso l’osservazione scientifica del condannato che viene utilizzata dalla magistratura di sorveglianza per l’individualizzazione delle modalità secondo le quali la pena dovrà essere eseguita (es. affidamento servizio sociale, semilibertà eccetera). L’osservazione prende in considerazione le caratteristiche personologiche, situazionali, microsociali e di pericolosità del soggetto. Attraverso l’osservazione scientifica della personalità in prospettiva criminologica è possibile acquisire informazioni su:

punto elencocriminogenesi (caratteristiche individuali e sociali che hanno avuto peso nella scelta delittuosa);
punto elencocriminodinamica (meccanismi interiori che hanno condotto al delitto);
punto elencopredizione (prospettive future di recidiva o di risocializzazione efficace).

durante la detenzione: per indirizzare tecniche di trattamento risocializzativo.

L’osservazione criminologica prende quindi in considerazione i tratti di personalità del soggetto, le caratteristiche dell’ambiente sociale dove il soggetto è inserito e il significato che psiche e ambiente hanno avuto nei confronti del comportamento delittuoso del singolo soggetto osservato. Abitualmente si articola in una fase diagnostica e in una fase prognostica. La fase diagnostica viene eseguita solitamente mediante i seguenti strumenti:

punto elencocolloquio criminologico;
punto elenco reattivi mentali (di efficienza intellettiva e di personalità);
punto elenco inchiesta sociale (condotta dall’assistente sociale) sull’abituale ambiente di vita del soggetto;
punto elencoesame comportamentale fatto dall’educatore (atteggiamento nei confronti della disciplina carceraria);
punto elencodati documentali (curriculum criminoso, sentenza di condanna, precedenti sentenze).

La fase prognostica o predittiva rappresenta un momento di grande responsabilità etica e morale per il criminologo poiché può generare due tipi di errore di valutazione: il falso positivo (quando si valuta il soggetto potenzialmente pericoloso ed invece non lo è) e il falso negativo (quando si valuta il soggetto non pericoloso ed invece esso si mostra recidivante). La valutazione prognostica del criminologo si basa normalmente sui seguenti fattori:

·         risultati dell’osservazione;

·         parametri: (famiglia di origine disastrata, carriera criminosa, tossicodipendenza eccetera);

·         ricerche criminologiche pregresse;

·         sistemi predittivi statistici.

Per una predizione equilibrata emerge nell’esperienza clinica la necessità di un giudizio integrato che si basi quindi sia su parametri statistici che sulle caratteristiche individuali emerse dall’osservazione.

Fonte:

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(tratto da Strano M., De Risio S., di Giannantonio M., “Manuale di Criminologia Clinica, Ed. Rossini, Città di Castello, 2000)

 


Differenza Tra Devianza e Criminalità

Il crimine è un comportamento che viola una norma penale. Il concetto di crimine utilizzato in questa sede intende quindi il delitto come fatto sociale (espresso dalla normativa) e non come un fatto naturale. Per questo è necessario osservare la storicizzazione delle norme e conseguenzialmente del crimine. Esiste così evidentemente uno stretto legame tra Criminologia e Diritto penale (il diritto penale sviluppandosi produce nuovi crimini). Il concetto di devianza utilizzato in questa sede è invece relativo ad una generica deviazione dalla norma sociale (comunemente condivisa) e quindi apparentemente fuori dal campo di azione criminologico. L’interesse criminologico in realtà non è solo quello delle leggi per il parziale sovrapporsi spesso di devianza e criminalità. La criminologia si interessa allo studio della devianza perché essa comunque costituisce un aspetto importante per molti crimini e talvolta il terreno da cui nascono i crimini. Comunque non esiste una correlazione lineare tra devianza e criminalità ed un soggetto può incappare anche in una sola delle due condizioni. Tre possibili situazioni: deviante e non criminale (es. bere molto); deviante e criminale (es. bere molto e reagire con violenza); criminale e non deviante (evadere il fisco, accettare raccomandazioni, eccetera).

Fonte:

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(tratto da Strano M., De Risio S., di Giannantonio M., “Manuale di Criminologia Clinica, Ed. Rossini, Città di Castello, 2000)

 


Il concetto di devianza: proprietà e fondamenti

Una definizione canonica vuole la devianza come comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale. La norma sociale appare divisibile in due elementi costitutivi: l’aspettativa istituzionalizzata (ideale modalità di risposta) e la sanzione (a seguito della violazione dell’aspettativa).

·         La devianza è un comportamento con alcune proprietà, che divide gli studiosi riguardo al peso teorico da assegnare loro.

 

·         "La devianza è il non assoggettarsi al ruolo che il sistema di valori della "propria" società si aspetta", si riferisce prevalentemente alle aspettative connesse ad un orientamento normativo (positivismo). Il fulcro della definizione fa perciò riferimento alle aspettative e non, direttamente, alla norma. Il legame tra norme ed aspettative è di tipo sociologico, mediato dall’incidenza di diversi fattori di vario ordine. Dalla conoscenza e condivisione della norma derivano le concrete aspettative di comportamento. Secondo Talcott Parsons, le norme discendono da valori sociali che sono interiorizzati attraverso la socializzazione: un processo di "addestramento alla società" che inizia da bambino col rapporto madre (alter) e figlio (ego). La genesi del comportamento deviante è perciò individuale. Le norme contribuiscono a formare un nucleo centrale di valori che saranno comuni alla totalità dei socializzandi (personalità di base + interpretazione delle situazioni). Si parte dunque dall’assunto che esiste un consenso riguardo alla legittimità di un dato comportamento. Per i positivisti, la devianza è spiegabile in base alle motivazioni che spingono a deviare, ma bisogna ammettere che non ogni deviante, con la sua motivazione, viene a costituire un deviante ufficiale; non può essere conosciuto il reale numero delle persone che deviano; perdono importanza le statistiche ufficiali. Per alcuni, questa prima proprietà sarebbe da non considerare poiché indica la devianza come qualcosa di pre-esistente all’intervento del controllo sociale. È poco convincente la pretesa di sapere che un dato elemento, sia esso la motivazione o il controllo, è in grado di spiegare esaustivamente il fenomeno.

 

·         Il deviante è tale poiché come tale è individuato da un gruppo, sicché è un concetto relativo (teoria del labeling o dell'etichettamento). Questa proprietà sottolinea l’incidenza del gruppo come quadro di riferimento entro cui si definiscono i comportamenti. V'è una scissione tra l'individuo e la deviazione, atto che è imputato all'indivuo dagli altri. Tutti gli orientamenti accordano un rilevante peso teorico ad essa. Per i positivisti, la proprietà definisce i termini di un relativismo culturale (i gruppi non riescono a fondere le loro prospettive culturali). Per i teorici del labeling, la proprietà costituisce il perno della loro impostazione che diventa una celebrazione romantica della diversità; ciò che propongono è una cultura della tolleranza (caleidoscopica segmentazione culturale). Per Becker la devianza non è una qualità dell'atto commesso dal soggetto, ma piuttosto la conseguenza dell'applicazione, da parte degli altri, di regole e sanzioni al trasgressore. Sono perciò fondamentali la reazione degli altri ad un determinato comportamento e la successiva trasformazione dell'indentità sociale del soggetto. I radicals si differenziano dai teorici dell'etichettamento poiché sostengono che l’etichetta è conseguenza di una norma; queste sono il prodotto di una società fondata sul possesso.

 

·        Per l’individuazione interviene un elemento situazionale. Anche all’interno dello stesso gruppo, lo stesso comportamento può essere interpretato in maniera diversa, secondo la situazione. Ogni società prevede dei momenti istituzionalizzati di destrutturazione della dimensione situazionale (eclissi dei criteri normativi). Questi hanno funzione di valvola di sfogo. Per quanto riguarda la dimensione situazionale nella sfera pubblico-privata, si parla della norma di evasione: una norma che gode di consenso da parte del gruppo e che una volta violata in privato non porta sanzioni ma è tollerata (a patto che sia mantenuta nascosta) (Raymond Williams).

 

·         Diversi tipi di devianza sembrano correlati a determinati ruoli sociali (neomarxismo). Difficilmente può essere individuato un gruppo completamente esente dal produrre devianza (dissoluzione della concezione analitica della devianza). Per i radicals, in una società fondata sulla proprietà (e sulle ineguali possibilità di accedervi) la devianza di tutti i suoi membri diventa sistematica per ricorrenza, soggetti e natura del reato, il quale è sicuramente appropriativo.

Può assumere intensità e direzioni diverse. Il comportamento si può allontanare dalla norma in due direzioni:   

quella   approvata e quella non disapprovata.

Modello di Van Vechten, Gordon Allport e ripreso da Wilkins:

  1. I comportamenti relativi ad una norma hanno distribuzione normale. Le altre risposte sono tanto meno numerose quanto più aumenta il grado della loro intensità deviante.

  2. Esiste un limite di tolleranza in ragione del quale non tutti quelli che deviano sono poi ritenuti devianti.

  3.  I comportamenti al di fuori dei limiti della tolleranza sono considerati più o meno devianti, sia chi è nella direzione approvata che nella direzione disapprovata.

Esistono norme prescrittive, che vietano o consentono senza precisare contorni e confini e che non ammettono tolleranza; in caso di violazione non ha senso parlare di direzione approvata e soprattutto l’intensità di devianza è massima.

Bibliografia

Maurizio Barbagli, Asher Colombo, Ernesto Ugo Savona, Sociologia della devianza. Il Mulino, Bologna, 2003

A. Dal Lago, La produzione della devianza. Teoria sociale e meccanismi di controllo (II ediz). Ombrecorte, Verona, 2001

A. Dal Lago, Etnometodologia (con P.Giglioli), Il Mulino, Bologna, 1983

Kai. T. Erikison, Streghe, eretici e criminali. Devianza e controllo sociale nel XVII secolo. Carocci, Roma, 2005

T. Parsons, Il sistema sociale, Comunità, Milano, 1965

H. Becker, Outsiders. Saggi di sociologia della devianza., Torino, 1987

A. Dal Lago, Non persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli, 1999

M. Ghezzi, Diversità e Pluralismo, Raffaello Cortina Editore, 2005

Fonte Wikipedia

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