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La Costellazione di Morte

 

Un interessante ricerca criminologia di orientamento psicodinamico venne svolta da Arthur H. Williams[1]  nel 1957, prendendo in esame le storie di alcuni condannati per omicidio in Inghilterra, detenuti in Ospedale psichiatrico giudiziario.

L’intento dello psicoterapeuta era quello di costituire un modello operativo che considerasse il rapporto fra le storie di vita e l’ideazione degli impulsi omicidi.

In particolare notò come negli assassini vi fosse la presenza di una serie di fantasie, sogni, pensieri, impulsi collegati all’intento omicida. Egli definì questa scoperta come “Piano per un omicidio”. L’attività di Williams fu quella di cercare di annientare questo piano attraverso percorsi terapeutici con diversi pazienti. Avendo fallito con gli ergastolani, cercò di rivolgersi ai potenziali assassini od ad individui con profonde angosce, tali che avrebbero potuto condurli all’omicidio.

L’individuazione del “piano” avveniva mediante la somministrazione di test proiettivi, ma qualora si scopriva in persone non consce delle loro tendenze si poneva il problema se lasciare queste tendenze a livello inconscio o se suggerire una terapia.

L’autore descrive il caso di un ragazzo di sedici anni che si lamentava di “essere costretto” ad uccidere adolescenti, fantasticando attività sadiche ed omosessuali che poi riviveva a livello mentale con grande ricchezza di particolari.

Durante l’analisi emerse che queste fantasie erano funzionali al raggiungimento dell’orgasmo mediante attività masturbatoria. Successivamente si scopri che questa era anche funzionale al fatto che non si attuassero questi idee omicidiarie. 

L’impulso ad uccidere era strettamente correlato alla sfera sessuale, che era a sua volta connessa alla morte.

Williams si accorse che i potenziali omicidi erano rimasti traumatizzati da esperienze legate alla morte.

Lo stesso sedicenne riferì di essere stato violentato dal padre fin dall’età di cinque anni e disse di essere stato vittima di un sequestro da parte di alcuni coetanei che lo minacciarono di impalare con una ringhiera di ferro se non fosse diventato loro schiavo.

Il giovane divenne schiavo di uno stato psichico in cui rivedeva costantemente l’immagine dei suo aggressori. Il suo comportamento da passivo divenne attivo, passando cos’ da vittima ad aggressore.Williams concluse che quando la vittima si identifica con l’aggressore si attua un processo di capovolgimento dei ruoli, come in questo caso.

La definizione di “Piano per un omicidio” si rivelo troppo riduttiva così che l’autore coniò il termine di “Costellazione di morte”, indicando le trasformazioni che avvengono in un soggetto quando l’istinto di morte prevale e quando l’istinto di vita è seriamente minacciato. In particolare nei casi di grave tendenza all’autodistruzione, come il suicidio, e per coloro che sfidano la morte praticando ad esempio sport estremi.Si scopri che i tentativi di suicidio dopo gli omicidi erano elevati e che un gran numero di omicidi aveva tentativi di omicidio prima di commettere l’atto omicida. Vi erano, inoltre, numerose malattie psicosomatiche tra gli ergastolani condannati per omicidio; e malattie psicosomatiche meno gravi e disturbi ipocondriaci fra coloro i quali gli istinti omicidi rimanevano inespressi.

La mancata elaborazione psichica delle esperienze traumatiche causa di gravi minacce alla vita del singolo, costituiva il nucleo centrale della “costellazione di morte”. La “Costellazione” era data da alcuni tratti caratteristici come ad esempio l’attribuzione  ad altri della responsabilità dei desideri omicidi,la convinzione della necessità di compiere un omicidio, l’associazione fra perversioni sessuali e fantasie, e l’esperienza persecutoria della morte dell’oggetto di amore come rifiuti ed incapacità di interiorizzare l’immagine della persona che aveva la funzione di contenitore degli istinti criminali. Riferendosi alla concezione Freudiana di transfert, utile ai fini terapeutici. Cosa che non è invece utilizzabile per coloro i quali hanno già portato a compimento l’omicidio. Situazione in cui la l’attività riparatoria non è in grado di ristabilire la situazione all’origine venendo a mancare l’oggetto del transfert (in quanto deceduto).

 [1] Psicoterapeuta inglese

·         F . Cremonini (a cura di), Metodi e tecniche per l'indagine criminologica. Un'introduzione, Angeli, Milano, 2002.

Scritto da Gianandrea Serafin  

 


Condizionamento Psichico e Crimini

Alla base della maggior parte dei comportamenti illegali che avvengono nell’ambito delle sette (truffe, violenze sessuali, spaccio ed uso di stupefacenti, appropriazioni, eccetera) si ritrovano forme più o meno sofisticate di condizionamento psicologico e di tecniche di coercizione, attuate con metodi sottili, spesso di tipo suggestivo. In altri termini, i reati che coinvolgono a vario titolo gli adepti (come autori o come vittime), sembrano essere associati ad una modifica della loro percezione della gravità di tali reati. La partecipazione a riti illegali (ad esempio che coinvolgono minori in attività sessuali) o la donazione dei propri averi all’organizzazione, possono apparire ad un’osservazione superficiale come assolutamente spontanei e non legati ad una pressione specifica da parte del leader carismatico. Tale situazione, che rappresenta una grossa difficoltà in ambito processuale, risulta viceversa soltanto apparente essendo infatti gli adepti sottoposti ad una serie di tecniche di convincimento di vario genere. Nella maggior parte dei casi, l’uso della violenza per indurre i soggetti a comportamenti conformi alle istanze del gruppo sembra essere abbastanza raro e solitamente riservato a casi di particolare resistenza. Lo scenario proposto rappresenta a livello giudiziario una notevole difficoltà in ambito probatorio. Le tecniche predilette dai leader delle sette per ottenere il controllo degli adepti sono infatti di tipo prevalentemente psicologico e tale capacità di manipolazione costituisce, di fatto, il requisito fondamentale dei vari capi carismatici e santoni che sono al vertice delle sette di ogni genere. Spesso, questa dinamica, costituisce la forza primaria del gruppo e una notevole tutela per il leader carismatico dagli attacchi delle agenzie di controllo istituzionale che stentano a trovare testimonianze. Nel corso dei processi penali, pur abbondanti in ogni parte del mondo a carico di santoni accusati di vari reati, risulta infatti sempre assai difficoltoso, in termini probatori, dimostrare (da parte dell’accusa) il plagio e l’induzione al comportamento, essendo tale dinamica sovente in contrasto con l’universale tendenza, nel processo penale, verso l’attribuzione di responsabilità e il riconoscimento del libero arbitrio nelle condotte di vita degli individui, soprattutto, in mancanza di un accertato di vizio totale o parziale di mente dell’individuo che è stato “indotto” ad una determinata azione.

Fonte:

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(tratto da Strano M., De Risio S., di Giannantonio M., “Manuale di Criminologia Clinica, Ed. Rossini, Città di Castello, 2000)

 


 

Le Tecniche di Comunicazione delle Sette

Una interessante ottica di studio criminologico delle sette è costituita a nostro avviso dall’analisi delle modalità comunicative intragruppo ed intergruppo. Distinguiamo a tal proposito delle dinamiche di comunicazione interna e delle dinamiche di comunicazione esterna. La comunicazione interna ha funzione soprattutto coesiva per il gruppo ed è caratterizzata da un linguaggio specifico, sovente criptico, che è comprensibile integralmente solo dagli adepti. Si tratta di una fraseologia che attribuisce un significato ad un oggetto o ad un evento utilizzando parole solitamente estranee al vocabolario corrente (parole appositamente confezionate) o che hanno nella consuetudine un significato diverso. Il linguaggio specifico rappresenta così la base dell’interazione tra il leader carismatico e gli adepti di una setta. E’ importante sottolineare che secondo numerosi studi psicologici (Piaget, Kuenne, Whorf, Osgood) il linguaggio possiede delle capacità di orientare la percezione degli eventi, il comportamento ed il pensiero degli individui e comunque costituisce un elemento fondamentale per l’attribuzione simbolica del proprio sé, della realtà circostante e degli altri individui. In ambito criminologico lo studio del linguaggio degli adepti costituisce un fattore importante per stabilire il livello di complessità dei rapporti intragruppo ed il livello di introiettamento della cultura della setta da parte dei soggetti che giungono all’osservazione clinica. La quasi totalità delle sette esplica dinamiche comunicative anche attraverso una ricca simbologia (numeri, oggetti, segni grafici, animali eccetera), come documentato dai rapporti criminalistici sulle sedi e sui luoghi abitualmente frequentati dai gruppi esoterici e satanici. La comunicazione all’esterno rappresenta invece la modalità espressiva attraverso la quale la setta svolge azione di proselitismo e giustificazione comportamentale (legittimazione) in ambito sociale. I canali impiegati vanno dalla tradizionale produzione di letteratura specifica fino alla semplice divulgazione face-to-face nella sfera parentale-amicale degli adepti. Con l’avvento di internet numerose pagine web vengono impiegate dalle sette per diffondere le loro dottrine e tale dinamica costituisce motivo di particolare allarme vista la diffusione e la difficoltà oggettiva di controllo del mezzo telematico. In termini di studio, la diffusione delle sette sul web consente però nuove opportunità di comprensione attraverso l’osservazione anche da parte di scienziati esterni ai gruppi, ad esempio con l’analisi dei newsgroup e dei forum dedicati.

Fonte:

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(tratto da Strano M., De Risio S., di Giannantonio M., “Manuale di Criminologia Clinica, Ed. Rossini, Città di Castello, 2000)

 

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